
Martedì
La mattina si sveglia presto è rilassata, ha sognato l’uomo, “Il Mio Scocciatore”, sorride ricordando l’incontro del giorno prima, spera di rivederlo, lo vuole credere con tutte le sue forze, perché crede all’amore a prima vista, si sente smarrita e al tempo stesso stordita, frastornata, prepara la colazione e parla fra sé e sé, “mi sa che mi sono innamorata, ma proprio innamorata! Possibile che come un fulmine quell’uomo mi abbia rincretinita così?” Cerca in ogni modo di smontare quella sensazione che ha addosso.
“Ma poi come posso pensare alla mia età di far girare la testa a un uomo e così all’improvviso?”
Si guarda allo specchio e parla alla donna che sta dall’altra parte del vetro, cercando di convincerla a desistere ma invece le escono parole diverse: “Via su, per essere una vecchia cinquantacinquenne non sei male!” Si mette a ridere di sé e della sua idea folle. Organizza la giornata, ha deciso di andare sul Ponte Vecchio come prima zona per la sua ricerca , scaccia il sospetto che le viene: l’uomo potrebbe andare altrove. Ma Firenze è piccola e anche se non sarà sul Ponte Vecchio, forse potrebbe comunque incrociarlo in una delle vie che portano là, e comunque ogni angolo della città potrebbe essere il luogo di un fortuito nuovo incrociarsi dei loro sguardi.
“Non devo fare la pessimista, lasciamo fare al destino!”
«Vecchia parli da sola anche? E come mai saresti pessimista?» Chiede il figlio incuriosito.
«Niente mi è balenata un’idea bislacca e non so se è il caso di metterla in pratica, ma mi conosci, se dico ma…lo faccio di sicuro».
«Eh, mica lo so come sei fatta, speriamo però che non sia una cosa troppo bislacca», risponde il figlio scuotendo il capo e ridendo al tempo stesso. «Ho una madre ben strana», borbotta per prenderla in giro «che cavolo di parola è bislacca?»
«Hai il vocabolario, google, tutti i mezzi giusti per scoprirlo da solo!» Ribatte con finta aria impermalita.
Si mettono a ridere e iniziano la loro giornata.
Indossa una gonna e una giacca di jeans, con una maglietta viola, stivaletti primaverili, con mezzo tacco, e via per la sua avventura da novella Sherlock Holmes in gonnella. Percorre la strada del giorno prima, stessa fermata d’autobus, stesso tragitto per poi nel pomeriggio uscita dal lavoro andare sul Ponte Vecchio. Cosa farà una volta lì, non lo sa: “Ma qualcosa succederà!”
L’andata è un fiasco, alla fermata del Mio Scocciatore come aveva previsto non c’è nessuna traccia; si rifarà nel pomeriggio all’uscita dal lavoro, pensa con determinazione.
Finito di lavorare, si fa una doccia, si trucca, e s’incammina verso il Duomo mentre osserva i turisti in coda per entrare al Battistero, dall’altra parte c’è la fila per entrare nel Duomo. Arrivata in piazza della Repubblica prende via Calimala, e quando arriva in via Por Santa Maria, si sente mancare, è primavera e il fiume di gente è incredibile.
Una marea multicolore, festante, chiacchierona e allegra, tutti incantati dallo spettacolo che hanno davanti, le lingue parlate s’incrociano e tutti convergono verso Ponte Vecchio. Il mondo è tutto qui, in questa splendida via che porta al ponte più antico di Firenze, salvatosi da tutte le guerre, e da tutte le catastrofi.
La storia del Ponte Vecchio in effetti è lontanissima, risale al tempo dei Romani, fatto di legno e pietra, fu distrutto innumerevoli volte, l’odierno aspetto fu realizzato dopo l’ennesima alluvione del 1333 e precisamente fra il 3 e il 4 novembre, data che ricorre anche per l’ultima inondazione avvenuta nel 1966. Nel 1345 toccò a Taddeo Gaddi dare l’impronta definitiva dell’aspetto odierno. Le tre arcate ribassate sono la sicurezza del Ponte, che hanno permesso nei secoli successivi di far confluire i detriti portati dalle varie piene. È anche l’unico ponte di Firenze che non è stato distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. La storia ha sempre affascinato Giada che l’ha studiata sempre con la dovuta ammirazione per i suoi antichi concittadini, che furono artisti di grande valore. Nel 1565 Cosimo I De’ Medici in occasione del matrimonio del Figlio Francesco I con Giovanna d’Austria, fece costruire un passaggio fra Palazzo Vecchio sede del governo della Città e Palazzo Pitti, residenza della Famiglia Medici. Il progetto originale prevedeva delle piccole finestre sul Ponte Vecchio, l’odore che saliva e inondava il corridoio non era dei più piacevoli: vi avevano dimora infatti botteghe di macellai conciatori e ortolani, che scaricavano tutto ciò che era inutile nel fiume, causando un odore fatiscente. Giada s’immagina l’odore nauseabondo, storce il naso e pensa: “Ci credo che furono spostati!” Così le botteghe del Ponte Vecchio furono demolite ricostruite e affittate agli orafi, argentieri e gioiellieri, che ancora oggi sono i Re di queste antiche botteghe.
Si ricorda ancora la ricerca che fece sul Ponte Vecchio a scuola, di come il suo interesse si manifestasse in mille domande che ancora le vengono alla mente.
All’estremità sud del ponte, all’angolo con l’attuale via dei Bardi, il Corridoio Vasariano gira intorno a una torre quella dei Mannelli, unica sopravvissuta delle 4 che erano agli angoli a difesa del ponte. La Famiglia Mannelli fu l’unica che si oppose infatti al passaggio del corridoio sulla loro proprietà, come era avvenuto per gli altri edifici, costringendo il Vasari a progettare questo tratto completamente a sbalzo su mensole per aggirare la torre. Leggenda vuole che poi la Famiglia Mannelli pagasse duramente negli anni a seguire questa opposizione ai voleri di Cosimo I de’ Medici.
Alcune finestre del Corridoio Vasariano furono modificate durante il periodo fascista, in occasione della visita di Adolf Hitler. Le finestre originali erano piccoli affacci che permettevano ai signori di osservare senza essere notati dal popolo. Con la visita del dittatore tedesco nel 1939, Mussolini decise di far ampliare le finestre sulla terrazza del ponte per permettere ad Adolf Hitler di ammirare Firenze, in effetti da lì si può osservare una magnifica vista verso il Ponte a Santa Trinità e sulla città. Ci sono poi le varie leggende che aleggiano sulla salvezza del monumento, la prima che fu proprio questo aspetto del ponte a far si che non fosse distrutto nella ritirata dei nazisti del 1944; un altra narra di un uomo che i tedeschi non avevano mai preso in considerazione, si chiamava Burgassi. Conosciuto dai più come il Burgasso, era un uomo claudicante e devastato dalla poliomielite, girava ogni notte sul ponte, per i Tedeschi era innocuo, ma per i commercianti era il custode dei loro negozi: pare avesse le chiavi e che lui controllasse i locali e i loro tesori. Quella notte fra il 3 e il 4 agosto si accorse di ciò che stavano facendo i nazisti, e piano piano zoppicando, si avviò in via dè Ramagliati dietro Borgo San Jacopo e, pare tagliò i fili che avrebbero innescato le mine. I ponti di Firenze e le strade adiacenti erano già state distrutte. Scivola con la mente ai racconti della guerra che venivano narrati, di come il Nonno avesse rifiutato la tessera, di sua nonna Lina e di come lei lavorasse nella cantina del palazzo dove abitava rilegando i libri, per una tipografia poco distante mantenendo così la famiglia. Quando parlava della guerra non poteva poi mancare la storia di come rischiò di morire per salvare la mamma di Giada, rimasta nella casa che era stata minata perché era in prossimità del ponte San Niccolò. Quella mattina gli inquilini delle abitazioni erano stati fatti scendere, la nonna pensava che ci fosse l’ennesimo rastrellamento, perciò aveva lasciato la figlia nata alla fine di maggio in casa addormentata nella culla. Ma quando si accorse che avevano minato le abitazioni tirò una spinta a un soldato e corse a riprendersi la piccola, fece di corsa le scale e tornò giù trafelata, chissà perché il tedesco non le sparò, se l’è chiesto spesso quando da bambina ascoltava la storia, ma forse a volte chissà…
Lascia i ricordi volare via, lasciando vagare lo sguardo sul ponte che ormai è a pochi metri.
A metà il Ponte regala un’altra meraviglia un’ultima testimonianza del Ponte trecentesco rappresentata dalla particolare meridiana a forma di mezzaluna che si vede in alto, sull’angolo della bottega che delimita la terrazza ovest, quella dove attualmente si trova il busto di Benvenuto Cellini, collocato nel 1901. Questo “adornamento”, come recita un’iscrizione sul basamento dell’orologio solare, fu collocato in occasione della ricostruzione del ponte nel 1345.
Mentre tutte quelle storie passano nella sua mente si accorge di essere arrivata, si ferma ad una gelateria come una turista qualsiasi, e compra un cono, tre gusti: menta, cioccolato e arancio, Giada è così, deve gustare il sapore della vita in tutto ciò che fa, anche in un semplice gelato.
Si avvia sul ponte decisa a osservare ogni singolo maschio che passi di là, l’idea è di mettersi vicino alla statua di Benvenuto Cellini.
Il pomeriggio è tiepido, di quel sole primaverile che riscalda, ma non brucia, è maggio e la ressa sul ponte è a dir poco caotica.
Osserva le persone, turisti giapponesi tutti in fila che seguono disciplinatamente la guida con quello strano ombrellino; Americani, loro sono i più confusionari hanno un modo di parlare molto diverso dai cugini britannici che sono più seriosi e composti, i primi hanno anche un abbigliamento molto informale e decisamente particolare; i turisti russi li riconosci immediatamente: hanno quell’aspetto da nuovi ricchi, si fermano ed entrano nelle gioiellerie, dove per un semplice ciondolo d’oro ci vorrebbe un intero stipendio di Giada.
L’età delle persone è varia, dai bimbi nei passeggini, ai turisti anziani al loro primo viaggio, per questo forse così emozionati.
Intere classi in gita scolastica e loro sì che sono bellissimi, le tornano alla mente le sue gite, molto diverse, ai suoi tempi un giorno e si tornava a casa la sera, dormire in albergo era un lusso e non era previsto ancora il pernottamento fuori.
Roma la prima volta che l’ha vista era in gita con la scuola, si ferma con la mente, Roma, ma non è lì per cercare il “Suo Scocciatore?” Sorride, il tempo è volato, lui non c’è, la delusione si palesa sul suo viso, ormai anche il gelato è finito. Guarda Benvenuto Cellini realizzato da Raffaello Romanelli, osserva la cancellata piena di lucchetti simbolo d’amore eterno per le coppie d’innamorati, chissà se le chiavi poi gettate in Arno sono rimaste fra i sassi o sono arrivate al mare, sospira, e si avvia. Quel tarlo che la fa dubitare è sempre in agguato “Chissà se rivedrò quel sorriso?”
Il sorriso di quell’uomo che ormai è entrato prepotentemente nella sua testa.
Il cellulare suona, è la sua amica Marta, che senza troppi convenevoli le chiede: «”Ma che fine hai fatto? Son due giorni che sei sparita!»
“Uffa” pensa inventando una scusa puerile per riattaccare subito; non vuol dare troppe spiegazioni su cosa o come stia impiegando il suo tempo; promette di richiamarla in serata. Si sente anche in colpa, Marta è sempre così disponibile con lei, la sopporta, e lei? Ora però, vuole stare da sola e soprattutto, vuole tenere per sé questa sensazione bellissima.
Guarda l’ora è il caso di ritornare a casa, si avvia afflitta, si sente come una bimba a cui non è arrivato il regalo di compleanno che aveva chiesto. Prende i lungarni che la portano verso la Leopolda e la tramvia.
È triste ma non si arrenderà, l’indomani farà un’altra tappa, deve solo decidere come programmarla: “Ho tutta la notte per studiare il percorso”, e sospirando torna a casa.
Arrivata si spoglia e un po’ abbattuta parla da sola: “Ma cosa ti credevi, ti sei fatta solo un castello di carte, matta che sei”, evitando di guardarsi allo specchio: non sopporterebbe di vedere riflesso il suo volto disperato e deluso.
Telefona alla sua amica, evitando di parlare di ciò che le passa per la mente, non è da lei, ma è una cosa sua e stavolta non vuol condividerla con nessuno, parlano del più e del meno, poi Marta butta là: «Ti va di andare al mare sabato e domenica? Di sicuro è ancora presto per la ressa, così ci rilassiamo un po’». Giada rimane interdetta, le dispiace rifiutare l’invito che in altri tempi avrebbe accettato immediatamente, ma ha altri progetti, pensa sorridendo, così inventa la scusa che deve finire un acquerello da spedire. Scambia altre battute con Marta e poi chiude velocemente la telefonata, glissando le ulteriori domande di Marta e promettendole di chiamarla presto. Chiuso il cellulare, le prende la malinconia, rifiutare una gita al mare non è da lei, per cosa poi? Stare da sola in città, per cercare un uomo che non sa nemmeno come si chiami.
“Si chiama follia questa, se non lo sai cara mia!” Borbotta con la voce incrinata dal pianto.
Si asciuga gli occhi, non vuole che Jacopo quando rientra la veda in lacrime, che cosa potrebbe dirgli? “Sai tesoro sono innamorata di un uomo che non conosco?”
Messa così è proprio una cosa stupida!
Ma non si arrenderà e si organizza la seconda tappa del tour ricerca, lo ha battezzato così!
Piazza della Signoria, è il luogo dove andrà il giorno dopo, finisce i preparativi sotto lo sguardo sconcertato del figlio, che le chiede: «Ma stai bene? Mi sembri strana».
Giada lo guarda stupita e risponde divertita: «Tesoro certo che sto bene, sono solo un po’ più matta di ieri!»
Scoppiano a ridere Jacopo le da la buonanotte e va in camera sua, lei fa altrettanto non vede l’ora di sognare il suo misterioso Uomo.
La notte fantastica sullo sconosciuto, vede sempre quel sorriso.
Che sorriso, uno strano miscuglio fra l’ironico tenero e ruffiano, è quello che l’ha colpita; veramente anche le mani, le mani di un uomo, le trova così affascinanti, specie se lunghe e affusolate, con quella stretta che fa scricchiolare le ossa. Le ha osservate, e le sono piaciute, anche quelle fanno parte del fascino che ha intrigato Giada.
Fioralba Focardi