
Parte Settima
Basterebbe perdonare il passato
È lunedì mattina, Giada esce di casa, fa sempre il solito tragitto. La malinconia ormai è la sua compagna fissa.
Va sempre a quella fermata, dove conobbe il suo amore.
Ma non sempre le cose vanno come dovrebbero andare.
È stata lei che ha buttato all’aria tutto, forse per paura, forse per orgoglio, o forse solo perché non si sentiva pronta.
Pronta?
Non ha ancora trovato una risposta sensata, ma non è una donna che si fa piegare, non ha voluto scendere a compromessi, non è per lei vivere senza lavorare, ma anche questa è una scusa, e lo sa bene. Ivan le aveva chiesto di lasciare il lavoro, che a lei ci avrebbe pensato lui, che non aveva bisogno di lavorare, che poteva pensare a entrambi, e lei così avrebbe potuto dedicarsi alla sua passione l’arte.
Tutto quello lo disse un mattino d’agosto, dopo che erano rientrati da un fine settimana in barca, si erano divertiti, l’idea era venuta a Jacopo: “Perché non andate in barca, Ivan sono convinto che vi divertirete”.
“Sì lo so, com’è stare in barca, l’ho avuta per un certo periodo, e questa è una bella idea, mi dai il permesso di buttarla a mare?”
“Direi che sì, lo puoi fare, tanto galleggia”.
La prendevano in giro, perché il giorno prima Giada aveva incontrato una conoscente, non si vedevano da più di dieci anni e la donna invece di chiederle: “Come stai?” le aveva detto “ma sei ingrassata!”
Giada lo aveva raccontato a entrambi, che da quel momento la tormentavano sulla presunta ciccia.
Così erano partiti il venerdì mattina, e avevano preso il traghetto per l’Isola D’Elba, a Portoferraio avrebbero trovato la barca a vela e l’equipaggio per quei due giorni in mare aperto.
Erano a casa da pochi minuti, lei stava svuotando le sacche da viaggio,
Ivan aveva aperto il portatile e stava guardando le e-mail, scherzavano sulla troppa crema consumata da Giada, quando Ivan la interrompe: “Amore dovrò assentarmi per qualche tempo, devo rientrare a Roma, il mio compito a Firenze è terminato, con la fine di agosto devo rientrare in sede”.
Giada smise di riporre le cose, lo guardò disperata, non sapeva che pensare.
“E noi Ivan?”
“Amore noi? Tesoro per noi non cambierà niente, per un po’ di tempo ci vedremo nei fine settimana, ma penseremo a una soluzione, pensi che non stia pensando a una soluzione?”
“Sì, ma potevi dirmelo, potevi dirmelo prima, così mi hai messo con le spalle al muro!”
“Tesoro avevi promesso di fidarti di me”.
“Ma io mi fido, è che questa cosa così detta all’improvviso, dopo questi giorni così sereni”.
“Ho pensato di non sciuparli, tesoro vieni qui, niente cambierà credimi.”
Ma era cambiato tutto, Ivan cominciò a fare progetti, progetti che vedevano lei come se fosse stata una statuina di porcellana. “Stai qui, pagherò l’affitto per almeno tre mesi, così non avremo pensieri. Vorrei che lasciassi il lavoro, a te ci penserò io. Non dovrai pensare a niente se non a essere felice. Appena potrai ti trasferirai a Roma”. Quando le telefonava poi la metteva in agitazione, era diventata una costante, tutte le sere doveva raccontargli cosa aveva fatto, e quando si accorgeva parlando del suo lavoro che diventava evasiva, lui diventava insofferente e iniziava a ripeterle che doveva lasciare il lavoro, e che a lei ci avrebbe pensato lui. Stava male senza di lei, non lo diceva ma si percepiva e questo lo portava ad essere possessivo.
Questo aspetto di Ivan non le piaceva, decideva per lei, quel poi verrai a stare a Roma, le dava l’idea di essere una valigia, non chiedeva, ordinava.
Farai, ho fatto, ho preso, ho pagato.
Tutto quello che lei non sopportava, l’imposizione, le decisioni prese da uno solo, e lei lì a dire sì.
Un mercoledì di settembre, dopo un’altra discussione Ivan tornò a Roma, e lei tristemente senza dirgli niente fece i bagagli e tornò nella sua casa, con suo figlio.
Il venerdì quando rientrò a Firenze l’uomo trovò una breve lettera, Giada aveva lasciato poche parole.
Amore mio, me ne vado con la voglia di restare. Ma scelgo la libertà di esistere, e di pensarla come voglio io. Aspettavo l’amore quello che ti rende completa, ma a modo mio. Non voglio di certo un Uomo che si prenda carico dei miei fallimenti, delle mie incertezze, che mi mantenga. Voglio un Uomo che mi ami come io lo amo, ma che non mi faccia esistere al suo fianco. Io ti amo, e so che mi mancherai. Ma non posso permettere che tu, decida per me. Ti amo ma non posso permettere che tutto ciò che ho fatto per crescere, lo lasci per strada anche se per amore. Per sempre Tua Giada
Jacopo non capiva, e soprattutto non riusciva a farla ragionare.
Ivan la chiamò tante volte, ogni venerdì sera tornava in quella casa che lui aveva cercato per lei, cercava di parlarle, chiedeva spiegazioni.
“Perché, spiegami il perché, perché fai così!”
“Perché tu hai fatto così, io non sono una statua che la metti dovunque, io voglio lavorare, non voglio dipendere da te. Mi piace farti regali, perché posso comprarli con ciò che ho guadagnato, non con ciò che tu mi hai dato. Non ha senso per me tutto questo, e i regali sono una sciocchezza, ma se tu non comprendi questo, non comprenderai il mio orgoglio per quel briciolo d’indipendenza economica che non mi faccia sentire una donna comprata, se non comprendi questo non comprenderai me”.
” Ma tesoro, non è così! Credimi ti prego!”
Ma Giada scosse il capo: “No, grazie io mi fermo qui!”
Aveva paura, e quella paura le faceva chiudere la porta al suo amore.
Ivan se ne andò, ogni tanto la chiamava, lei rispondeva, voleva sapere come stava. Non disse mai: “Mi manchi”, e Ivan non la forzava, gli restava difficile capire quelle sue paure, voleva dirgli che la voleva con tutte quelle sue fissazioni, ma capiva che doveva darle tempo e non la cercò più.
E Giada continuò la sua vita, con una malinconia diversa, sapeva che aveva rinunciato alla cosa più bella che avrebbe avuto nella vita: l’Amore di Ivan.
O almeno questo lo credeva Giada, crogiolandosi nel suo dolore.
Fioralba Focardi