
orquato Tasso nacque l’11 marzo 1544 a Sorrento, dal letterato bergamasco Bernardo (che era segretario del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino) e Porzia de’ Rossi, nobildonna di origini toscane. Nel 1554 Bernardo fu coinvolto in un tentativo di ribellione dei Sanseverino contro il viceré di Napoli e venne esiliato, dovendo seguire il suo signore a Roma; il piccolo Torquato andò con lui e si separò dalla madre, che non avrebbe più rivisto (la donna morì nel 1556). Questo trauma segnò l’infanzia del poeta ed ebbe certamente conseguenze sul suo equilibrio psicologico, mentre anni dopo avrebbe rievocato il periodo dell’infanzia nella canzone Al Metauro, uno dei suoi componimenti più famosi. Tra il 1560 e il 1565 fu a Padova, allora centro dell’aristotelismo italiano, dove studiò diritto, filosofia ed eloquenza, e per un paio d’anni proseguì gli studi a Bologna, anch’essa sede di una prestigiosa università. Nel frattempo iniziò una prima attività letteraria e compose nel 1562 il Rinaldo, un poema in ottave di 12 canti sulla materia cavalleresca del ciclo carolingio (anche il padre Bernardo, autore di liriche, aveva scritto un poema cavalleresco intitolato Amadigi). Scrisse anche rime amorose, ispirate dalla passione per Lucrezia Bendidio e Laura Peperara, due nobildonne vicine alla corte estense, mentre già nel 1559 iniziò il progetto di un poema sulla prima crociata, che poi si sarebbe sviluppato nella Gerusalemme liberata.

Nel 1565 si stabilì a Ferrara, dove lavorava al servizio del cardinale Luigi d’Este e dove fu ben accolto nell’ambiente di corte, stabilendo amichevole relazioni soprattutto con Lucrezia, sorella del duca Alfonso II. Qui lavorò al poema iniziato nel 1559 e compì alcuni viaggi al seguito del cardinale, finché nel 1572 entrò a far parte degli stipendiati del duca, senza compiti particolari se non quello di comporre versi per la corte: iniziò un periodo particolarmente felice e di intenso lavoro letterario, che vide in particolare la composizione dell’Aminta (il dramma pastorale che viene rappresentato con grande successo nel 1573) e il completamento della Gerusalemme liberata, sostanzialmente terminata nel 1575 (anche se il titolo non era ancora quello definitivo). Questo è però anche il periodo in cui Tasso cominciò a manifestare segni di squilibrio mentale e di inquietudine, che lo spinsero a sottoporre il poema al vaglio di alcuni amici e letterati (tra cui Scipione Gonzaga e Sperone Speroni) e poi a farsi esaminare dall’Inquisizione di Ferrara per scrupoli religiosi, venendone completamente assolto. La cosa creò non poco imbarazzo ad Alfonso, che essendo figlio di Renata di Francia (calvinista e perciò considerata “eretica”) non voleva attirare l’attenzione del Sant’Uffizio sulla sua corte. La situazione precipitò nel 1577, quando il poeta aggredì con un coltello un servo da cui si credeva spiato, presente Lucrezia, e venne confinato per un periodo nel convento di S. Francesco; riuscì a fuggire e lasciò Ferrara, compiendo per alcuni mesi alcune nervose peregrinazioni per l’Italia.

Nel 1579 tornò a Ferrara, proprio nel momento in cui in città si preparavano le nozze tra il duca Alfonso e Margherita di Gonzaga: sentendosi trascurato dalla corte, diede in violente escandescenze contro il duca e gli altri dignitari, per cui fu arrestato e rinchiuso per ordine di Alfonso nell’ospedale di Sant’Anna, dove sarebbe rimasto come prigioniero per sette anni. Trattato all’inizio come pazzo, fu sottoposto a una custodia estremamente dura che col tempo si attenuò, permettendogli anche di scrivere; a Sant’Anna Tasso compose molti dei 26 Dialoghi e tantissime lettere, con le quali si rivolgeva a vari signori d’Italia pregandoli di intercedere in suo favore per una liberazione. Si diffuse anche la leggenda di un suo amore “proibito” per Eleonora, una delle sorelle del duca, il quale lo avrebbe per questo fatto rinchiudere a Sant’Anna simulando la sua follia (tale “mito” si sarebbe prolungato sino all’Ottocento e avrebbe alimentato l’immagine “romantica” di Tasso che, forse, affascinò lo stesso Leopardi). Durante la reclusione venne anche pubblicato il poema col titolo di Gerusalemme liberata, da lui non riconosciuto e senza che potesse esercitare alcun controllo sull’edizione, e l’opera non mancò di suscitare polemiche letterarie, specie per le critiche malevole che alcuni intellettuali rivolsero all’autore (particolarmente negativo fu Leonardo Salviati, che preferiva il modello del Furioso dell’Ariosto per ragioni di lingua e di stile).

Nel luglio 1586 Alfonso II decise di liberare Tasso e lo affidò al cognato Vincenzo Gonzaga, che lo portò con sé a Mantova: il poeta uscì fortemente provato dalla lunga prigionia e iniziò in seguito una serie di viaggi nervosi e inquieti in varie città d’Italia, al servizio di vari signori, facendo tappa a Firenze, a Napoli e soprattutto a Roma, dove nel 1593 pubblicò il rifacimento completo del poema col titolo di Gerusalemme conquistata. Sempre a Roma pubblicò Le lacrime della Beata Vergine e di Gesù Cristo, due poemetti di ispirazione religiosa e nel 1594 stampò i sei Discorsi del poema eroico, sviluppo dei Discorsi dell’arte poetica già pubblicati in precedenza e in cui giustificava le scelte di temi e di stile che avevano guidato la composizione del poema, specie in raffronto col modello del poema epico-cavalleresco di Boiardo e Ariosto. Le sue condizioni di salute peggioravano e si ridusse a vivere in Vaticano, godendo di una lauta pensione concessagli dal papa; era in procinto di essere incoronato poeta, quando nel marzo 1595, aggravatosi, si fece portare nel convento di S. Onofrio sul Gianicolo dove morì il 25 aprile di quell’anno. Fu sepolto nella chiesa del convento, dove la tomba rimase a lungo priva di una lapide suscitando lo sdegno di diversi letterati del tempo, incluso il Marino che in versi famosi della Galeria lamentò che il grande poeta giaceva “senza onor di tomba”, finché il cardinal Bevilacqua nel 1608 (su sollecitazione del letterato G.B. Manso) fece realizzare un monumento funebre ancor oggi presente nella chiesa. Nel 1823 la tomba del poeta verrà visitata da Giacomo Leopardi nel corso del suo famoso viaggio a Roma, evento riportato in una lettera al fratello Carlo del febbraio di quell’anno (sull’ammirazione di Leopardi per Tasso, si veda oltre).
Torquato Tasso – Letteratura italiana (weebly.com) qui trovate tutto l’articolo, molto approfondito.

Un’ape esser vorrei
Un’ape esser vorrei,
donna bella e crudele,
che sussurrando in voi suggesse il mèle;
e, non potendo il cor, potesse almeno
pungervi il bianco seno,
e ‘n sì dolce ferita
vendicata lasciar la propria vita.
Pianto della notte
Tacciono i boschi e i fiumi,
e’l mar senza onda giace,
ne le spelonche i venti han tregua e pace,
e ne la notte bruna
alto silenzio fa la bianca luna;
e noi tegnamo ascose
le dolcezze morose.
Amor non parli o spiri,
sien muti i baci e muti i miei sospiri.
Qual rugiada o qual pianto,
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stelle un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?