
Luciano Luisi, nato nel 1924 a Livorno ma romano d’adozione, è stato per molti decenni una voce autorevole e apprezzata nel campo della critica d’arte e del giornalismo italiano. Ha collaborato con numerose testate giornalistiche e ha condotto per la RAI diversi programmi culturali e dirette di eventi prestigiosi.
Poeta, narratore e drammaturgo, il suo nome figura nell’albo d’oro di numerosi premi letterari, in qualità di giurato o di vincitore.
Ha insegnato “Giornalismo televisivo” all’Università “Pro Deo” di Roma e Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Foggia. Ha diretto “L’informatore librario” ed è stato Segretario Generale del Premio Fiuggi. Ha curato monografie su Luzi, Prisco, Pratolini, Sciascia e su grandi artisti figurativi, tra cui Greco, Guttuso, Vespignani, Tamburi, Annigoni, Covili, Norberto. È un collezionista e studioso di conchiglie e attualmente vive a Roma.
Primo amore a Livorno
Primo amore, schiamazzano i soldati
sull’angolo dov’era la tua casa:
tutte le, strade cortili di caserme,
tutte le strade cortili sventrati.
Ma avevo tanta sete dell’infanzia
e la memoria m’ha guidato ai Fossi
e non potrò fuggire sotto i ponti
se le case cadranno a una ventata
di fuoco.
(Cerco gli anni
che avevano il colore dei tuoi occhi
e il tuo profumo di vergine
troppo a lungo sognata).
Ma dove
mio primo amore troverò i tuoi segni?
Il libeccio non soffia sulla polvere
della città devastata.
Se il tempo
si conta sulle mura,
le macerie fioriscono da secoli
queste aride ortiche (è lontana
la pietà dalla terra). I soldati
danzano a sera sulle piazze anonime
che seppero la gloria del tuo passo.
Tu forse fuggi fra i detriti a scampo
e la città più non ti lega, antico
amore sgomentato dalle raffiche.
Ma se l’incauta luna non si compie
a illuminare strade di minaccia,
ti basta il primo anelito d’estate
e ritrovi la via della marina.
Lo smarrito silenzio s’incrina
solo al fiato del mare,
e nei passi dei poveri che vanno
nelle pause d’allarmi
sulle barche a fior d’acqua a riposare.
Campane
E’ inutile che battano le campane
se nell’aria non rompono l’inferno
dei siluri volanti in picchiata.
A noi più non si addice
questo sereno bronzo delle chiese,
ma l’urlo della sirena che taglia
la lunga notte di guerra lontana
e ci riporta, stanchi, ai nostri letti.
A sognare d’un lupo che si stana
e una città di case scoperchiate.