18 marzo nasce Stéphane Mallarmé

Nato a Parigi nel 1842, Stéphane Mallarmé perde la madre a soli cinque anni. Il padre si risposa nel 1848 (e avrà altri quattro figli) e il giovane Stéphane cresce con i nonni materni. Perde la sorella Maria nel 1857 e questa perdita influenza i suoi primi scritti di natura romantica. Sognatore e solitario, scopre e si entusiasma per Baudelaire nel 1861 e inizia allora la sua carriera di poeta.

Dopo l’esame di maturità parte per l’Inghilterra dove si sposa nel 1863 a Londra con la governante tedesca Cristina Maria Gherard. Inizia una carriera di professore d’inglese e insegna a Tournon, Besançon (1866) e Avignone (1867) e di notte si ritira nel suo ufficio per scrivere.

Nel 1871 Mallarmé viene nominato insegnante a Parigi. Esce allora dal suo isolamento, stringe amicizia con Manet e Zola, frequenta Verlaine e lo scrittore decadente Villiers de l’Isle-Adam. Oltre all’insegnamento porta avanti diverse collaborazioni:

Collabora al Parnasse Contemporain e inizia un dramma lirico Hérodiade.
Crea una rivista La Dernière Mode (L’Ultima Moda) nel 1874.
Compone Il pomeriggio di un fauno nel 1876
Traduce dall’inglese i poemi di Edgar Allan Poe.
Nel 1884 il saggio di Verlaine I poeti maledetti e il romanzo di Huysmans Controcorrente evidenziano il talento di Mallarmé. Il suo domicilio in via Roma diventa un salotto letterario dove riceve ogni martedì personaggi come Oscar Wilde e discepoli appassionati come André Gide, Paul Valéry e Paul Claudel. Mallarmé esercita su di loro un’influenza considerevole. Debussy mette in musica alcuni dei suoi versi.

Nel 1896 Mallarmé viene eletto dai suoi pari “principe dei poeti” ed un anno dopo viene pubblicata la sua opera più originale: Un colpo di dadi mai abolirà il caso. Mallarmé non avrà il tempo di elaborare la sua “grande opera” che sogna da tanto tempo, il libro che racchiuderebbe tutta la sua esperienza poetica.

Supporta il suo amico Zola nell’affare Dreyfus del 1898, pochi mesi prima di morire all’improvviso per soffocamento nella sua casa di campagna sulla Senna a Valvins, lasciando l’opera Hérodiade incompiuta.

Stéphane Mallarmé: biografia, poetica e stile | Studenti.it

L’Azzurro
Del sempiterno azzurro la serena ironia
Perséguita, indolente e bella come i fiori,
Il poeta impotente di genio e di follia
Attraverso un deserto sterile di Dolori.

Fuggendo, gli occhi chiusi, io lo sento che scruta
Intensamente, come un rimorso atterrante,
L’anima vuota. Dove fuggire? E quale cupa
Notte gettare a brani sul suo spregio straziante?

Nebbie, salite! Ceneri e monotoni veli
Versate, ad annegare questi autunni fangosi,
Lunghi cenci di bruma per i lividi cieli
Ed alzate soffitti immensi e silenziosi!

E tu, esci dai morti stagni letei e porta
Con te la verde melma e i pallidi canneti,
Caro Tedio, per chiudere con una mano accorta
I grandi buchi azzurri degli uccelli crudeli.

Ed ancora! Che senza sosta i tristi camini
Fùmino, e di caligine una prigione errante
Estingua nell’orrore dei suoi neri confini
Il sole ormai morente giallastro all’orizzonte!

-Il cielo è morto. – A te, materia, accorro! Dammi
L’oblio dell’Ideale crudele e del Peccato:
Questo martire viene a divider lo strame
Dove il gregge degli uomini felice è coricato.

Io voglio, poiché infine il mio cervello, vuoto
Come il vaso d’unguento gettato lungo il muro,
Più non sa agghindare il pensiero stentato,
Lugubre sbadigliare verso un trapasso oscuro…

Invano! Ecco trionfa l’Azzurro nella gloria
Delle campane. Anima, ecco, voce diventa
Per più farci paura con malvagia vittoria,
Ed esce azzurro angelus dal metallo vivente!

Si espande tra la nebbia, antico ed attraversa
La tua agonia nativa, come un gladio sicuro:
Dove andare, in rivolta inutile e perversa?
Mia ossessione. Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!

Dono di versi
Ti reco questo figlio d’una notte idumea!
Nera, spiumata, pallido sangue all’ala febea,
Pel vetro che d’aromi fiammeggianti si dora,
Per le finestre, ahimé ghiacciate e fosche ancora,
L’aurora si gettò sulla lampada angelica.
Palme! E quando mostrò essa quella reliquia
Al padre che nemico un sorriso tentò,
L’azzurra solitudine inutile tremò.
O tu che culli, con la bimba e l’innocenza
Dei vostri piedi freddi, accogli quest’orrenda
Nascita: ed evocando clavicembalo e viola,
Premerai tu col vizzo dito il seno che cola
La donna in sibillina bianchezza per la bocca
Dall’azzurro affamata, dall’alta aria non tocca?

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