10 aprile nasce Bella Achatovna Achmadulina

Bella Achatovna Achmadulina (in russo: Белла Ахатовна Ахмадулина?; Mosca, 10 aprile 1937 – Mosca, 29 novembre 2010) è stata una poetessa russa.

Nata da padre tataro e da madre italo-russa, con la raccolta di liriche La corda (1962), improntate a un arduo tecnicismo verbale, si pose in prima fila, insieme a Evtušenko (che fu suo primo marito) e Andrej Voznesenskij, nella nuova generazione poetica poststaliniana, cui il recente disgelo aveva consentito una certa libertà di ispirazione e il distacco dalla retorica ufficiale. Nell’ambito di un severo, tradizionale impianto metrico, la Achmadulina ha condotto un’originale ricerca sul linguaggio, attenta alle inflessioni gergali, ma sempre guidata da un’ansia di purezza espressiva e della fede nella funzionalità simbolica della parola. Nelle sue raccolte più recenti (Lezioni di musica, 1969; Poesie, 1975; Il mistero, 1983), così come nelle liriche apparse su giornali e riviste (anche nel circuito clandestino del samizdat), esprime la meditazione sul destino dell’intellettuale nel mondo moderno e il virtuosismo stilistico lascia il posto a una più contenuta maturità d’espressione. Altre sue opere furono Tormenta (1977), nell’almanacco Metropol (Mosca 1979), il racconto Molti cani e un cane. Le poesie di Bella Achmadulina sono state pubblicate in Italia nelle raccolte Poesie scelte (a cura di Donata De Bartolomeo, pubblicato dalla Fondazione Marino Piazzolla, 1993) e in Poesia (Spirali 1998).

Bella Achatovna Achmadulina – Wikipedia

Racconto sulla pioggia

Tutto il giorno la pioggia non mi lascia.
“Vattene!”, io le dico rozzamente;
fa quattro passi indietro, poi, devota,
mesta mi segue come una bambina.
Come un’ala, la Pioggia alla mia schiena
s’è incollata. “Vergognati!”, le dico;
“l’ortolano t’invoca lacrimando,
corri dai fiori! Che hai trovato in me?”
Intanto in giro regna un’afa cupa;
dimenticando ogni altra cosa al mondo,
la Pioggia è qui con me, mentre d’intorno
mi danzan i bambini, quasi fossi
la macchina per innaffiare i prati.
M’infilo in un caffè, dentro una nicchia.
Alla finestra, come un accattone,
mi aspetta. Ed all’uscita mi castiga
con uno schiaffo umido sul viso;
ma subito la Pioggia audace e triste
mi lascia sulle labbra un bacio fresco,
che ha il profumo del cucciolo bagnato.
Son buffa col mio fradicio scialletto
legato al collo, mentre sulla spalla
siede la Pioggia come una bertuccia,
e la città si turba; con un dito
mi solletica un lobo. Tutto è secco.
Io sola son bagnata fino alle ossa

Suono premonitore

Suono premonitore, da dieci giorni
ti aspetto sulla strada di Parsino
E ancora aspetto sotto la luna piena.
Suono premonitore, sei qui da qualche parte.
Cadi nella fertilità di una ferita aperta.
Perchè mi segui e ti nascondi?

Suono premonitore, per quanto grande
sia la mia colpa, grande è anche il tormento.
Quale orecchio ti ama come il mio?
Mi dice addio la luna piena.
Ma non ho un suono premonitore.
non ho un suono. Ma c’era prima?

Non dividerò con nessuno la mia luna,
e lei nessun altro amerà.
La vita scopre d’un tratto di essere in punto di morte.
Suono premonitore, eccomi
a giocare con la tua assenza sublunare.

Suono premonitore, perdonami.

Non dedicarmi troppo tempo…

Non dedicarmi troppo tempo,
non pormi tante domande.
Non sfiorare la mia mano
con i tuoi occhi buoni, fedeli.

Non seguirmi in primavera
lungo le pozzanghere.
Lo so: una volta ancora, nulla
verrà fuori da questo incontro.

Forse pensi: è per superbia
che non mi vuole amico.
Non la superbia-l’amarezza
tiene così alta la mia testa.

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