
Stefano Docimo (Roma, 20 aprile 1945 – 31 dicembre 2014)
Nasce da famiglia borghese, figlio del magistrato della Corte dei Conti Elio Docimo e della cantante attrice Chiaretta Gelli, nome d’arte di Yvette da Todi. Già adolescente, complice anche l’amicizia e la frequentazione con Bruno Spirito, nipote del filosofo Ugo Spirito, inizia a vivere con estrema conflittualità la sua origine borghese. Grazie a tale conflittualità, agli inizi degli anni sessanta, al pari con il crescere del fermento intellettuale e politico di quel periodo, viene attratto della cosiddetta neoavanguardia letteraria del novecento che lo portò ad avvicinarsi al Gruppo 63. Questo consente lui di affacciarsi alla ribalta poetica distinguendosi come giovane autore verbovisivo e redattore sulle pagine della rivista Marcatré (1963-1969) dove pubblica, tra l’altro, l’opera Mixage Zero nell’ultimo numero della rivista.
Dal 1972 è stato socio della Società di Linguistica Italiana e, grazie anche all’amicizia con Valentino Zeichen inizia una serrata attività creativa che lo portò a partecipare a numerose letture e manifestazioni pubbliche di poesia e letteratura tra le quali La Tartaruga nel 1975 e al Laboratorio di poesia diretto da Elio Pagliarani nel 1977.
Tra il 1977 e il 1985 ha collaborato alle terze pagine di riviste di letteratura e linguistica e quotidiani nazionali, tra cui Paese Sera e L’Umanità di cui ha curato la terza pagina. Nel 1978 fonda con Benito Jacovitti Il Cantagallo, rivista di satira politica diretta da Umberto Giubilo.
Bisognerà, però, attendere il 1985 per la pubblicazione della sua prima opera “Ponti d’oro” (Roma, Il Ventaglio) che lo farà uscire da una zona di comodo dove, in qualche modo, egli si era rifugiato tanto per questioni personali, quanto per la propria ritrosia verso tutto ciò che una maggiore notorietà avrebbe potuto comportare. Seguirono altre due opere e fino alla fine del decennio è stato poi ideatore, promotore e organizzatore insieme ai suoi cari amici Franco Cavallo e Mario Lunetta, della rassegna Magazzini Generali di poesia presso l’omonima Associazione culturale a fondata a Roma da Armando Soldaini e riferimento romano per le avanguardie letterarie di quegli anni.
“Faccio scrittura, in modo caparbio, ma l’avverbio non le rende giustizia, non si sovrappone, lasciando all’interpretazione proprio quel modo pressante, corporale, sottomettendolo così ad una intenzione più metafisica, leggera, mentale per l’appunto, alleggerendone l’hic et nunc prepositivo; quel povero corpo, quel suo stare e sostare, anche. E ancora, troppo mediatico: quel suo scivolare, seguendone il moto ondulatorio, verso l’invisibile, l’artefatto.”
Suoi testi poetici e critici sono apparsi in varie riviste e antologie. Tra le riviste: La terra del fuoco, Altri Termini, Dismisura, Anterem, Gradiva, Zeta, La Taverna di Auerbach , di cui è stato redattore, Kr991 ecc. Tra le antologie e i manuali:Coscienza & Evanescenza, Verso Roma Roma in versi, Postpoesia, La poesia nel Lazio, Discorsi interminabili, Lo sparviero sul pugno, Poesia italiana della contraddizione, Nel paese delle rose, Voci, Resistenze, Fare e disfare è tutto un lavorare, Bollettario ecc.
Ne segue un periodo sabbatico nel quale si limiterà alla scrittura di contributi critici e da cui uscirà dedicandosi dai primi anni novanta fino alla sua morte al Sindacato Nazionale Scrittori (oggi Sezione Nazionale Scrittori[collegamento interrotto] della confederazione CGIL) di cui è stato anche Segretario Generale. Le sue linee politiche furono subito rivolte verso quelle nuove forme di espressione che richiedevano una rappresentatività di pari dignità rispetto a quella che egli riteneva essere la vulgata nazionale più retriva.
Nel settembre del 2015, in occasione della XXIII edizione del Premio Feronia-Città di Fiano in sua memoria, è stato aggiunto tra gli altri un “Premio speciale Stefano Docimo” aggiudicato a Marcello Teodonio per la curatela delle opere di Mauro Marè (Il Cubo, 2014).
Dividui
Siamo dunque ciò che avremo la capacità di non-essere
dividui parcellizzati frammentati divisibili all’infinito
sul bagnasciuga dell’ essere come tram infinitesimali
abbracciati alla pioggia su rotaie ben ammaestrate
facilmente riconoscibili e irrimediabilmente sepolti
abborracciati e insoddisfatti con andature alluvionali
tallonati coi nostri numeri di serie impressi in memoriam
avieri del nostro benessere avidi di merce spettacolarizzata
ancipiti sonnacchiosi d’un io già diviso e sottonuclearizzaro
per frantumazioni multiple sottovento e in sottovesti azzurre
o in gramaglie per meglio servire in perenni strati di grasso
in quest’allungo annoiato spaesati e senza ragione ci cogliamo
nell’azzardo d’esserci ancora per un attimo tra due parentesi
spodestati e sudditi ammansiti tradotti avanti con le citazioni
accumulate in modo da spiazzare in costanti pervase e perverse
di polimorfo splendore accerchiati in aerostatici stazionamenti
digrignanti in levature basse senza sbavature di corto volume
in immobili danze dividuali ammassati e perfino ammucchiati
in concentriche fila in morbide tele con tardo effetto chiaroscurale
polifemiche mosse adombranti in ritagli da nulla per successione
di bande ammorbati in stato d’avanzato sfacelo marmorei slavati
alzati e abbassati in precipue tendenze per duplice avanzamento
annaspanti in acque arruffate aussi anattratte per il troppo afrore
denso spartiacque di anafore ben sagomate tra interstizi polidromi
anabolizzati per clangore o per accidente anestetizzati in postriboli
postumani busillis in acredine doppia ancestrali atque sequestrati
da mandiboli o neri manipoli andanti d’avanzi in putrescenti rovine
al cominciamento di langue per spessi pensieri languenti e ritorti
in postille di vago sapore aurorale per tossici fonemi alla rinfusa
brianzosi bric-à-brac baldanzosi briosi atque bizzarri da rive-gauche
rinchiusi in agende letamaio in acriliche tinte da donare a caso
frescure sciabordamenti in progressione geometrica voilà voilà
acquitrino violaceo in sottotenenza ondivaga forma schiumosabollitura inerme di facinorose boccacce boiarde in eremi schiusi
palindromi schivati a forza di sferzate agghiaccianti sulla retrovia
scoscesi in ardue salite bifronti biforcanti sentieri all’acqua di rose
pescosi rigagnoli moccicosi vis-à-vis prosciugati anagrammi soldati
maremare adagiato in arse secche intricate intarsiate di nere foreste
appaiate e come affogate argille fumanti sottostanti sentori di festa
di testa per visibilia in actum come a stanare sensi melmosi distratti
a crepapelle l’historia del genere umano tramite lasciti a tratti abrasi
in mandibulae precoci a trangugiar carme ed arenili per sovrapposita
persona in blande e bramose miscidanze di tardivo sapore prandiale
percosse da tracime di moggia per tramestii incerti di vagori sinoidali
per versi stonati di rugiadoso chiarore appestati e come ammorbati
tête à tête teutonici e in urbe da vischiose e abnormi vasche cittadine
in svogliati anfratti percorsi attardati labirinti saturnali per danzatori
pervinca in ossute movenze spaiate per allegoriche stanze e parvenze
ormeggiate al largo di blastule sferiche costituite da materia colloidale
poco colloquiale e abnorme nella sua andatura claustrale onnicentrica
in veste da camera per così dire sconnessa da ogni possibile direzione
come cerniera tra due o più mondi stazionata al centro della biosfera
terrestre per equazioni postume al giudizio un po’ tranchant contro
quel verso troppo comunicativo per comune vocazione tronca nel canto
metallico e ineguale caustico d’autre part per incauta pusillanimità
acrostici ed anagrammatici addossati a rupaglie di quel quiproquo
in cordate solanacee di crosta marina di dubbio valore per dilemmata
estorta super aequora annaspando in ardore benigno e per succedanei
innesti facenti preda di Saturno e allumati alquanto memori di quello
invorticati in lasse maree di tardo sapore ancestrale per scorpionate
alquanto murate allo stantuffo per circoncisa incapacità di supra essere
in larmanti briciole aguzedas per aspera inesperta inglobatura di scorta
mesti in rimesse grondaie di difficile interpretazione per complessa
distorta andatura lucciola per lanterna in siffatto rimario dodecafonico
aritmico in paucis verbis in cartocci teutonici per abscondita vocanti
tampoco plausibili attardati atque inabissati per sottrazione di labiali
in marcia contro betulle odorose braccati e bramosi di sillabe oscene
spintonati in postriboli articoli doppi per smesse gramaglie rettrattili
parentetici e abbacinati dalla troppa luce traversa per incauta sottise
rovistati e smangiucchiati da parole brade in muscoli intenti ad arare
assiepati in opercoli per grotte sinuose smagati o grotteschi per apici
in mano a monopoli distinti per gruppi aggrottati attanagliati ab ovo
dove stoviglie apparecchiate avvolgenti in siffatto ruolo domestico
alla ricerca annoiata di tinte e magari con tanto di ammassi lanari tra
ferri uncinati trapunte spumose tra rostri d’incerta coesione assommati
per introflessa visione e per lineare postura associati spocchiosi malfermi
in triplice copia inseriti avvitati avviati malgrè lungo quel collo uterino
tra vespri di varia natante fattura grovigli svagati d’innesti apparecchi
perduti tra maglie di variopinto splendore per vagula e come indistintapredati antistanti mostranti testicula insulsa atque avariata sorpresa per
eremi lassi e per interposta frattura secunda per versi larvali imperfetti
essudate sentenze lascive in boscosi silenzi di preda per fascini offshore
come per aenigmata in stato di angusto rigore dove l’altrui perfetazione
rendendo distinta la specie per quanto riguarda l’ottuso glamour entro
limiti piuttosto ristretti per saecula a tratti discontinui d’inchiostri sopra
superfici ben levigate di scrittura in scrittura per frattali intercorsi divelti
distolti limitrofi in anatematici furori come a trabiliare la quiete nostra
per inermi confini alla diaspora fruitori allopatici rovistatori di alterne
frattaglie in ripetibili lemmi come a stonare canzoni in formule occluse
iperboli incidentate allarmate trincate nel metro trocaico per mazzieri
truccati e resi commestibili da raggruppamenti rutili di sfarzosa materia
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