25 aprile nasce Margherita Guidacci

È tra Firenze, dove nasce il 25 aprile 1921, e Scarperia, paese d’origine della famiglia dove matura quel legame con la natura che sarebbe diventato motivo ricorrente nei suoi scritti, che Margherita Guidacci trascorre l’intera giovinezza, frequentando la casa di Ponzalla di Nicola Lisi, cugino della madre, e, per suo tramite, alcune fra le più importanti personalità dell’ambiente culturale fiorentino: Giuseppe De Robertis, Francesco Maggini, Piero Bargellini, Carlo Betocchi. Conseguita nel 1943 la laurea in Lettere discutendo con Giuseppe De Robertis una tesi sulla poesia di Ungaretti, inizia a collaborare a varie riviste letterarie e approfondisce il suo interesse per la letteratura inglese e anglo-americana: risalgono all’immediato dopoguerra la lettura e lo studio per lei decisivi della poesia di Emily Dickinson e di T.S. Eliot, tra gli autori cui consacrerà in seguito un’intensa e riconosciuta attività di traduttrice (si ricordano T.S. Eliot, Morte degli elementi, Alla Madonna, in “Rassegna”, gennaio 1946 e Burnt Norton, in “Paesaggio”, giugno-luglio 1946, e i volumi E. Dickinson, Poesie e lettere, Sansoni, Firenze, 1961 e E. Dickinson, Poesie, Rizzoli, Milano, 1979).

Nel 1946 pubblica presso Vallecchi la sua raccolta poetica d’esordio, La sabbia e l’Angelo: nella Firenze degli anni Quaranta la Guidacci è chiamata inevitabilmente a confrontarsi con la corrente allora egemone dell’ermetismo, verso cui afferma una profonda incompatibilità, abbracciando un’esigenza di lucidità e chiarezza cui resterà fedele lungo tutto l’arco della sua produzione poetica. Nel 1958 lascia Firenze e con la famiglia si trasferisce a Roma, dove prosegue la sua prolifica attività di traduttrice, di saggista e pubblicista. Dopo aver insegnato nelle scuole superiori, nel 1972 si aggiudica una cattedra di Letteratura anglo-americana presso l’Università di Macerata e poi, nel 1981, all’Istituto di Magistero della Libera Università “Maria SS. Assunta” di Roma. Margherita Guidacci muore a Roma il 19 giugno 1992.

Da sùbito orientata verso una poesia dalla forte connotazione astratta e metafisica (La sabbia e l’angelo, 1946), e pervasa da una costante tensione religiosa (Morte del ricco, 1954; Giorno dei Santi, 1957), la Guidacci ha calato tale propensione anche nel racconto della propria sofferenza psichica, trasformando la narrazione di una penosa degenza in istituto psichiatrico nella rappresentazione di uno dei volti del doloroso destino dell’uomo (Neurosuite, 1970). Similmente anche la poesia di occasione civile, come i versi composti in occasione della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980 ad opera di terroristi dell’estrema destra, ha come chiave di lettura l’indole fratricida dell’umanità simboleggiata dal delitto originario di Caino (L’orologio di Bologna, 1981). Persino le raccolte più propriamente votate alla riscoperta di un’intima felicità di affetti (Inno alla gioia, 1983) mai slegano l’esperienza terrena dalla consapevolezza della morte e dall’attesa di un’eternità consolatrice. L’ultima raccolta di Margherita Guidacci, Anelli del tempo, è uscita postuma a Firenze nel 1993.

Lo stile prosastico e sempre limpido di Margherita intreccia ai motivi naturali, scritturali e letterari frequenti spunti autobiografici e si serve di un apparato metaforico in cui il dato paesaggistico è spesso protagonista. Per la Guidacci dunque l’orizzonte del Mugello (titolo, tra l’altro, di una poesia compresa nella raccolta Paglia e polvere) è sia un indimenticato punto d’origine cui tornare con gioia sia una precisa visione del mondo che genera senso e associazioni poetiche. Il legame tra autenticità letteraria e genuinità del territorio è insomma indissolubile, come dichiara lei stessa in un’intervista del 1980: “se la poesia sarà vera, per il solo fatto di esistere ammonirà e consolerà, sarà messaggio e guida; come lo sono gli alberi, dalle radici alla cima, i fiumi, dalla sorgente alla foce e, sebbene in modo più difficile da interpretare, perfino il cielo e le pietre” (Intervista a Margherita Guidacci, a cura di R. Berti Sabbieti, in “Riscontri”, luglio-settembre 1980, pp. 117-119; ora in Prose e interviste… citt., pp. 132-134).

» Margherita Guidacci (ilfilo.net)

All’ipotetico lettore
Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa’ che siano
allora come foglie e come vento,
assecondando il suo volo.
E sappi che l’affetto nell’addio
non è minore che nell’incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.

Lascia sia il vento
Lascia sia il vento a completar le parole
che la tua voce non sa articolare.
Non ci occorrono più le parole.
Siamo entrambi il medesimo silenzio.
Come due specchi, svuotati d’ ogni immagine,
che l’uno all’altro rendono
un semplice raggio. E ci basta.

Stella cadente
Alcuni desideri si adempiranno
altri saranno respinti. Ma io
sarò passata splendendo
per un attimo. Anche se nessuno
mi avesse guardata
risulterebbe ugualmente giustificato –
per quel lucente attimo – il mio esistere.

Tutti i vostri strumenti hanno nomi bizzarri
e difficili, ma io vedo chiaro
e so che in fondo sono solamente
metri e gessetti con cui misurate
e segnate – segnate e misurate
senza stancarvi.
Sfilate spilli di tra le labbra, come un sarto:
me li appuntate sull’anima
e dite: “Qui faremo un bell’orlo.
Dopo starai tanto meglio.”
Io non voglio che mi tagliate un pezzo d’anima !
Se ne ho troppa per entrare nel vostro mondo,
ebbene, non voglio entrarci.
Sono una poetessa:
una farfalla, un essere
delicato, con le ali.
Se le strappate, mi torcerò sulla terra,
ma non per questo potrò diventare
una lieta e disciplinata formica”

Poiché non mi veniva nessuna parola
(la parola era “addio”, ma non riuscivo a dirla)
ti ho dato il mio silenzio
ed ho ascoltato il tuo,
e non è stato un vuoto, ma condivisa pienezza
e ancora gioia, mentre accettavamo,
come la terra, un nostro tempo di neve,
bianco grembo d’attesa delle future estati.

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