
Karl Kraus nasce il 28 aprile 1874 a Gitschin, in Bohemia, città oggi appartenente alla Repubblica Ceca. Scrittore, giornalista, saggista e poeta è generalmente noto come uno dei principali satirici di lingua tedesca del XX secolo.
Figlio di Jakob, fabbricante di carta e di Ernestine Kantor, Kraus cresce in una famiglia ricca, di origini ebraiche, che nel 1877 si trasferisce in Austria, a Vienna.
L’infanzia rappresenta il terreno fertile su cui cresce quella polemica e quella vena satirica che poi il mondo conoscerà; i fattori essenziali che determinano l’identità di Kraus saranno la sua nazionalità austriaca, le sue origini ebraiche e l’appartenenza ad una famiglia borghese.
I suoi rapporti con la cultura ed il pensiero borghese sarebbero stati sempre molto contradditori.
Il giovane Karl Kraus era un bambino molto delicato, predisposto ad ammalarsi ed afflitto già durante la sua prima infanzia da evidenti sintomi di una deviazione della colonna vertebrale, e da miopia. Paul Schick, il suo biografo più importante, ricorda come la madre si preoccupava molto teneramente della sua salute e come Kraus soffrì tremendamente dopo la sua scomparsa prematura.
Ciò che più di ogni altra cosa risveglia lo spirito critico e curioso di Kraus durante i suoi primi anni scolastici sono l’arte, la poesia, la musica e il teatro.
Completati gli studi, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza di Vienna nel 1892: in questo periodo inizia una lunga collaborazione giornalistica. La sua prima pubblicazione è una recenzione dell’opera teatrale di Gerhart Hauptmann, dal titolo “Die Weber”, pubblicata sulla “Wiener Literaturzeitung”.
Kraus tenta anche una carriera teatrale, senza tuttavia ottenere alcun successo.
Soffre la rigidità delle materie giuridiche e decide presto di cambiare indirizzo, passando ad aree più umanistiche e a lui più congeniali, come Germanistica e Filosofia. Non porterà mai a termine gli studi universitari.
Inizia proprio in questi anni ad instaurare amicizie con i più noti letterati viennesi, frequentando il noto Café Griensteidl, e scrivendo numerosi articoli sulle più prestigiose riviste della città. Le sue amicizie si trasformarono però molto presto in terribili bersagli di critica e satira, come dimostra la sconcertante pubblicazione dei uno dei testi più provocatori e coraggiosi della Vienna fin de siécle: “Die demolierte Literatur” (La letteratura demolita), che scrive nel 1896 in occasione dell’imminente demolizione del Café Griensteidl. E’ con la pubblicazione di questo articolo che si può identificare l’inizio del grande successo giornalistico di Kraus.

Viene nominato corrispondente per il quotidiano “Breslauer Zeitung”. Come sostenitore non compromesso nella causa dell’assimilazione ebraica, attacca il sionista Theodor Herzl con il polemico “Eine Krone für Zion” (“Una corona per Sion”, 1898).
Nel 1899 rinnega il Giudaismo e pubblica il primo numero della rivista satirica “Die Fackel” (La Fiaccola), da lui fondata e che continuerà a dirigere per tutta la vita. Da qui Krays lancia i suoi attacchi contro l’ipocrisia morale e intellettuale, la psicoanalisi, la corruzione dell’impero degli Asburgo, il nazionalismo del movimento pangermanico, le politiche economiche liberiste e molte altre tematiche.
Agli inizi “Die Fackel” poteva essere considerata simile a riviste come “Weltbühne”, poi però si distingue per l’indipendenza editoriale di cui Kraus poteva godere grazie ai propri fondi. Nei primi dieci anni molti eminenti scrittori ed artisti contribuiscono al giornale: fra gli altri vi sono Peter Altenberg, Richard Dehmel, Egon Friedell, Oskar Kokoschka, Else Lasker-Schüler, Adolf Loos, Heinrich Mann, Arnold Schönberg, August Strindberg, Georg Trakl, Frank Wedekind, Franz Werfel, Houston Stewart Chamberlain e Oscar Wilde.
Dopo il 1911 tuttavia Kraus è quasi l’unico autore.
Kraus partecipa anche a numerose conferenze pubbliche che hanno un grande seguito: tra il 1892 e il 1936 mette in scena circa 700 esibizioni durante le quali legge drammi di Bertolt Brecht, Gerhart Hauptmann, Johann Nestroy, Goethe e Shakespeare, e interpreta anche le operette di Offenbach, accompagnato dal piano, cantando e interpretando da solo tutti i ruoli.
Elias Canetti che seguiva regolarmente le conferenze Kraus, intitolerà la propria autobiografia “Die Fackel im Ohr” (traducibile liberamente come “ascoltando Die Fackel”), sia in riferimento alla rivista che al suo autore.
Il capolavoro di Kraus è la commedia satirica “Gli ultimi giorni dell’umanità”, che tratta della Prima guerra mondiale attraverso fantasiosi resoconti apocalittici ed i relativi commenti di due personaggi, “il Grumbler” (soprannome che indica un amante dei giochi di guerra da tavolo) e “l’Ottimista”.
Kraus inizia a lavorare a quest’opera nel 1915: verrà pubblicata nella sua versione definitiva nel 1922.
Battezzato come cattolico nel 1911, lascia la Chiesa nel 1923. Non si sposerà mai, ma dal 1913 fino alla fine dei suoi giorni ha una stretta relazione con la Baronessa Sidonie Nádherný von Borutin.
Karl Kraus muore a Vienna il 12 giugno 1936.
Viaggio nella valle Fextal
Quando il tuo sole illuminò la mia neve
era domenica nell’azzurra Engandina.
Ardeva l’inverno e il gelo era cocente,
spruzzavano senza fine le scintille dal ghiaccio.
Tutto il presente irrompeva scricchiando,
danzava la luce con la musica della slitta in corsa.
Andavamo da qualche parte nel passato,
al di là d’ogni stagione.
Ogni cosa che iniziò sgarbatamente, ci attraversava sereno,
un giorno d’argento ringraziava il raggio dorato.
In un regno sommerso conduce l’incanto.
Come morbida prepara la vita il sogno infantile!
Colma di antichi giochi è la bianca valle;
i monti raccogliamo come cristalli di rocca.
Nessun abisso divide oggi gli elementi?
Un fiume di fuoco lega la terra e l’aria.
Viviamo diversamente. Se continua così
è come essere in un altro pianeta!
Svanisce ondeggiando ogni spazio nella luce.
Così il sogno scivola lieve verso la morte.
Il tempo non recinta nella riserva alcun dolore per noi.
Se i capelli sbiancano, ci sarà buona neve.
L’inverno ci riscalda. La vita è un giorno,
che il vento di Silvaplana ama chetare.
Nessuna meta, è soltanto un riposo che si donava felicità,
se una volta la slitta s’arresta davanti a una tomba.
Il prato nel parco*
Come tutto mi diviene senza tempo. E là dietro indugio
sbalordito e nel disegno del prato sto fermo,
come il cigno nello specchio verde.
E questa era la mia terra.
Quante campanule! Ascolta e guarda!
Lui, l’ammiraglio, sta su questa pietra
da molto tempo. Deve essere domenica
e tutto risuona d’azzurro.
Non voglio continuare. Fermati, piede vanitoso!
Finisci la tua corsa davanti a questo miracolo.
Un morto giorno si sveglia.
E tutto resta così antico.
Adoro molti dei suoi aforismi.
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Un bacio!
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