
Edth Bruck nasce a Tiszabercel, in Ungheria il 3 maggio 1931. E’ nata in una famiglia ebrea e sin da bambina ha avuto modo di conoscere l’ostilità e le discriminazioni. Nel 1944, a soli tredici anni, è stata deportata nel campo di sterminio di Auschwitz e poi successivamente trasportata in altri campi: Kaufering, Landsberg, Dachau e Bergen-Bielsen. Proprio in quest’ultimo campo di concentramento venne liberata, insieme alla sorella, nell’aprile del 1945.
Dopo aver fatto ritorno in Ungheria si sposta prima in Cecoslovacchia e successivamente in Israele. In Israele, onde evitare il servizio militare, si sposa e prende il cognome ‘Bruck’ ( Il suo cognome da nubile è Steinscheriber).
Nel 1954 decide di trasferirsi in Italia, precisamente a Roma.
Edit Bruck esordisce, nelle vesti di scrittrice, nel 1959 con l’opera ‘Chi ti ama così’. Edit Bruck inizia in questo modo la sua carriera da scrittrice e testimone della Shoah. Ha scelto di scrivere in italiano, poiché secondo la stessa autrice, le offre un distacco emotivo capace di descrivere le sue esperienze e sofferenze nei campi di concentramento.
In ordine di tempo, alcune sue opere sono state: ‘Andremo in città’, ‘E’ Natale, vado a vedere’, ‘Le sacre nozze’, ‘Due stanze vuote’, ‘Transit’, ‘Mio splendido disastro’, ‘Signora Auschwitz’, ‘L’amore offeso’, ‘Lettera da Francoforte’ e ‘Il pane perduto’.
Ha scritto anche alcune poesie. Tra queste: ‘Il tatuaggio’, ‘In difesa del padre’ e ‘Specchi’.
E’ stata anche sceneggiatrice di alcuni film, tra questi: ‘Andremo in città’, ‘Fotografando Patrzia’, ‘Per odio, per amore’, ‘Anita B’.
Edith Bruck, nel novembre 2018, ha ricevuto la laurea ad honorem in ‘Informazione, Editoria e Giornalismo’ dall’Università di Roma Tre. Nel 2019, invece, ha ricevuto lo stesso trattamento presso l’Università di Macerata, dove le viene consegnata la laurea ad honorem in Filologia Moderna.
Nel febbraio 2021, Papa Francesco, ha fatto visita a Edith Bruck e ha dichiarato: “Sono venuto qui da lei per ringraziarla della sua testimonianza e rendere omaggio al popolo martire della pazzia del populismo nazista e con sincerità le ripeto le parole che ho pronunciato dal cuore allo Yad Vashem e che ripeto davanti ad ogni persona che come lei ha sofferto tanto a causa di questo: perdono, Signore, a nome dell’umanità”.
Infanzia
Il tuo latte era già avvelenato
da un presagio minaccioso
le tue braccia stanche
non mi offrivano protezione
i tuoi occhi erano consumati dal pianto
il tuo cuore batteva per paura
la tua bocca s’apriva solo per pregare
o maledire me l’ultima nata che chiedeva rifugio
dalle sagome umane che colpivano nel buio
dai cani aizzati contro dai padroni taciturni e grevi
dallo sputo di bambini nutriti d’ignoranza
dagli idioti lasciati liberi
dalle vergogne e dalle catene familiari
per sfogarsi con gli ebrei
all’uscita della sinagoga.
Amica sorella compagna nemica
Amica sorella compagna nemica
per un tuo cenno il mio dolore
poteva ancora trasmutare e dissolvere
in cima a un albero di gelso
sulla slitta di due assi inchiodate
dal ragazzo che dietro la stalla
ci accarezzava tra le gambe con morbide piume.
Sulle ali del tuo sorriso
sarei volata a raccogliere
le stelle gialle scosse sui carri
cigolanti girasoli al vento
nei campi dove noi lavoravamo come
braccianti e giocavamo con bambole
di granoturco rubato.
Una tua parola avrebbe annullato
l’ingiuria dei gendarmi fieri
dell’uniforme intessuta d’odio
contagioso e diffuso
da insegnanti preti signori
proprietari incontrastati di coscienze ;
un tuo gesto (non quel segno della croce per saluto)
mi avrebbe distolto
l’attenzione dall’assenso
espresso anche dai bimbi
spinti ad applaudire le piume
colorate che svolazzavano festose
trottando sui cavalli aggrediti
dai cani degli ebrei cani ebrei !
Amica sorella compagna nemica
il tuo silenzio è riflesso
negli occhi d’Eva che non saliva sul gelso
per non sporcarsi l’abito
e mangiava pane e cioccolato a merenda,
la ricordi la signorina ?
Non ha più paura
che la madre la scopra in mia compagnia
è nuda calva leggera
io la trascino in cima a una piramide
di scheletri per sistemarla vicino a Dio
(in cui credeva) ricercato per i delitti
commessi sotto i suoi occhi.