2 maggio nasce Gottfried Benn

Gottfried Benn nasce aMansfeld, Prussia Occidentale, il 2 maggio 1886 poeta e saggista tedesco. Determinanti per la formazione della sua personalità artistica furono l’ambiente della casa paterna (il padre era parroco protestante) e gli studi di medicina. Le prime liriche (Morgue, 1912), che elaborano motivi e impressioni in un linguaggio permeato dal gergo medico, fanno di B. un caso letterario e uno dei fondatori dell’espressionismo: l’immagine dell’uomo vi subisce una dissacrazione nella quale si esprime un nichilismo aggressivo, polemico contro la civiltà e le sue sicurezze. Nelle liriche composte durante la grande guerra (Carne, Fleisch, 1917) affiora una nuova tematica, che diventerà centrale negli anni ’20: frustrato dal dominio della razionalità, il poeta evoca in sempre nuove variazioni il ritorno alle strutture primordiali dell’io, che sopravvivono nel nostro inconscio. Se la razionalità ha distrutto l’unità paradisiaca dell’uomo con la natura, nell’ebbrezza e nel sogno egli può riuscire a liberarsi delle sovrastrutture razionali e a riscoprire le sue origini mitiche. Ma la prassi poetica di B., come si presenta in Scissione (Spaltung, 1925) e Onda ebbra (Trunkene Flut, 1927), corrisponde solo in parte a queste enunciazioni teoriche; il ritmo incalzante delle sue poesie rimate tradisce sempre la presenza di uno spirito saldamente razionale. B. si rende presto conto di questa contraddizione: l’arte del futuro nascerà dal connubio tra concetto e allucinazione, i materiali emersi dall’inconscio collettivo dovranno sottostare all’intervento tecnico dello spirito costruttivo. La nostalgia per le origini prelogiche dell’umanità e l’avversione contro la civiltà moderna spiegano in parte l’entusiasmo con il quale B. saluta l’avvento del nazismo (Il nuovo stato e gli intellettuali, Der neue Staat und die Intellektuellen, 1933); lo affascina la concezione dello stato totalitario, che realizza la piena identità di potere e spirito, individuo e collettività. In Mondo dorico (Dorische Welt, 1934) e Arte e potere (Kunst und Macht, 1934) B. celebra il totalitarismo come trionfo della forma. Ma il suo passato artistico di espressionista lo rende inviso al nuovo potere. Il fallimento dell’impegno pubblico rafforza in lui la tendenza a separare nettamente arte e vita; la sua autobiografia, Doppia vita (Doppelleben, 1950), descrive questa scissione cosciente della personalità, nella quale il poeta identifica la cifra dell’uomo moderno. In questi anni B. cerca di realizzare ciò che chiamerà in seguito «prosa assoluta». In L’osteria Wolf (Weinhaus Wolf, 1937), Romanzo del fenotipo (Roman des Phänotyps, 1944) e L’uomo tolemaico (Der Ptolemäer, 1947) il tessuto narrativo realistico-psicologico si dissolve in un gioco di materiali storico-culturali montati secondo meccanismi associativi. La somma poetica di questi dieci anni è depositata nella raccolta Poesie statiche (Statische Gedichte, 1948), ricostruzione di un io lirico che riflette la situazione biografica dell’autore. Le ultime raccolte poetiche (Frammenti, Fragmente, 1951; Distillazioni, Destillationen, 1953; Aprèslude, 1955) tentano di ricavare sostanza lirica da un contesto apparentemente impoetico, se non triviale

 Muore a Berlino, il 7 luglio 1956

Gottfried-benn: Libri dell’autore in vendita online (ibs.it)

“Appendice” [da Morgue]

Tutto è bianco e pronto a tagliare.
I coltelli vaporano. Il ventre è spennellato.
Qualcosa, tra i bianchi panni, che mugola.

<<Signor Commendatore, ci siamo>>.

Il primo squarcio. Come si trinciasse pane.
<<Pinze!>> Schizza del rosso.
Più a fondo. I muscoli: acquosi, luccicanti, freschi.
C’è un mazzo di rose sul tavolo?

E’ il marcio a sprizzare qui?
Scalfito forse l’intestino?
<<Dottore, se lei sta nella luce
non c’è diavolo che possa vedere il peritoneo.
Narcosi, non posso operare,
quest’uomo va a passeggio col suo ventre>>.

Silenzio, tetro madido. Nel vuoto lo stridore d’una forbice caduta sul pavimento.
E la suora con angelico cuore
porge tamponi sterili.

<<Non posso trovar nulla in questa merda!>>
<<Il sangue si fa nero. Via la maschera!>>
<<Ma – Dio del cielo – mio caro,
basta che tenga più fermi i divaricatori!>>

Tutte aderenze. Agguantata, finalmente!
<<Cauterio, sorella!>> Sfrigola.
Ancora una volta hai avuto fortuna, figliolo.
Ci mancava poco alla perforazione.
<<Vede quella macchiolina verde?
Tre ore soltanto e il ventre zeppo di merda>>

Chiudere pancia, chiudere pelle. <<Cerotti qua!
Buongiorno a lor signori>>.

La sala si vuota.
Furibonda scricchia e digrigna le ganasce
la morte e sguscia nei padiglioni del cancro.

Bella gioventù

La bocca di una ragazza, che era rimasta a

lungo nel canneto,

appariva tutta rosicchiata.

Quando le venne aperto il petto, l’esofago

era crivellato di buchi.

Si trovò infine in una pergola sotto il

diaframma

un nido di giovani topi.

Una piccola sorellina era morta.

Gli altri vivevano di fegato e reni

bevevano il freddo sangue ed era

quella passata qui una bella gioventù.

E bella e rapida venne anche la loro morte:

furono gettati tutti insieme nell’acqua.

Ah, quei musini come squittivano!

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